Se avete avuto modo di ascoltare la mia chiacchierata con Federico Taddia su Radio 24 (a “L’Altra Europa” del 27 aprile 2013) sapete che, nel corso dell’edizione 2013 del Festival Internazionale del Giornalismo, ho partecipato alla tavola rotonda Il citizen journalism tra sfruttamento e democratizzazione in compagnia di Giovanni Boccia Artieri (Università degli studi di Urbino) e di Mafe de Baggis (co-fondatrice di Pleens).
Il video del nostro panel è disponibile qui:
Dappertutto in Europa e nel mondo assistiamo alla proliferazione di esempi di giornalismo partecipativo: semplici cittadini propongono immagini, servizi, a volte dossier completi su avvenimenti ai quali i professionisti dell’informazione non hanno accesso. Il citizen journalism è stato dunque presentato come uno straordinario strumento di democratizzazione dell’accesso alla professione giornalistica. Ma c’è dell’altro. Nella misura in cui questo giornalismo “dal basso” si combina con le utilizzazioni attuali delle reti digitali, assistiamo oggi a una sovrapposizione tra lavoro giornalistico e attività ordinarie di internauti che, senza pretese, mettono online foto, testi e video che scandiscono la loro vita di tutti i giorni. E anche questi contenuti, che non hanno inizialmente vocazione giornalistica, si ritrovano a fare notizia quando, per esempio, una grande testata cita un commento di un blog, o un telegiornale ricicla un filmato Youtube per illustrare un suo servizio.
La confusione fra citizen journalism e contenuti generati dagli utenti determina, nel quadro dell’attuale economia della contribuzione, un nuovo assetto produttivo, nel quale ogni attività digitale può di fatto essere assimilata a un’attività lavorativa. Questo digital labor, in quanto produttore di contenuti, dati e valore economico, è messo a profitto dalle grande testate giornalistiche, dai media classici e dai nuovi social media. Ma al tempo stesso, e nella misura in cui contribuisce a precarizzare le professioni giornalistiche (sottoponendo pubblicisti e giornalisti “iscritti all’albo” alla pressione concorrenziale di giornalisti-cittadini), esso ottiene anche un altro effetto: fa emergere nuove forme di conflittualità, nuove rivendicazioni e nuove maniere di ripensare il lavoro nel contesto del capitalismo cognitivo attuale.
Per inciso, molte delle cose che ho detto nel corso di questo intervento (che comincia a 17’10”), sono tratte dalle mie riflessioni in corso sul tema del digital labor. Altre, non meno interessanti, sono state discusse nel corso del mio seminario EHESS Etudier les cultures du numérique, dai miei colleghi André Gunthert (Un bilan de la ‘révolution des amateurs’, 19 marzo 2013) e Éric Dagiral e Sylvain Paraisie (Des machines à scandale : vers une sociologie morale des bases de données).
Per approfondire:
– Resoconto del dibattito sul sito Recensito
– Resoconto del dibattito sul sito Web del Festival Internazionale del Giornalismo